Disturbi alimentari e moda: quando la passerella diventa una malattia
Viaggiare e calcare le più importanti passerelle del mondo. Il sogno di molte giovani di fare le modelle può diventare un’ossessione che si tramuta in disturbo del comportamento alimentare
Alte, belle e magrissime. Chi non ha sognato di fare la modella? Soprattutto in giovane età, girare il mondo e calcare le più importanti passerelle è l’obiettivo di tante.
Per raggiungerlo, però, servono molti sacrifici. Uno su tutti, avere il fisico ideale per riuscire a portare al meglio gli abiti delle Maison.
Le adolescenti, sole davanti a un pc, guardano le modelle sfilare e le vedono perfette. L’obiettivo è diventare come loro.
Giorno dopo giorno la bilancia diventa un’ossessione. I kg diminuiscono, il piatto resta pieno. Le ragazze entrano in un tunnel buio in cui, spesso, non riescono più a trovare la via d’uscita.
Sono davvero moltissimi i disturbi alimentari legati alla “fobia da passerella.” I più noti: anoressia e bulimia nervosa.
Secondo uno studio della American Psychiatric Association sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
A soffrirne sono soprattutto giovani donne tra i 15 e i 25 anni d’età (solo in Italia più di 3 milioni di persone).
I social e le nuove tecnologie sono un nuovo modo per adescare persone fragili.
I Pro-Ana (Pro Anoressia), per esempio, sono blog in cui i giovani si incontrano, chattano e scambiano il numero di cellulare. Seguono fedelmente insegnamenti e consigli per perdere peso. Le regole sono ferree, prima su tutti: “Se non sei magra non sei attraente.”
La bilancia è sempre al tuo fianco e se sgarri sei fuori dal gruppo.
La ragazza che non voleva crescere
Il binomio moda-anoressia, troppo spesso sottovalutato, è ancora estremamente attuale.
Il primo passo in avanti è stato fatto nel 2007 con “No Anorexia”. La controversa campagna promossa da Nolita e curata da Oliviero Toscani.
Ridotta a un cumulo di ossa (31kg) la modella Isabelle Caro ha posato nuda di fronte all’obiettivo. Per mostrare a tutti le sue sofferenze e per sensibilizzare l’opinione pubblica sui disturbi alimentari.
La sua vita è diventata un libro: La ragazza che non voleva crescere.
Toccante testimonianza di una bambina che soffre di anoressia nervosa e vive per 11 anni chiusa in casa. La madre, depressa, vorrebbe fermare il tempo e vederla sempre piccola. Lei, che la ama profondamente, fa di tutto per accontentarla.
“Ho avuto un’infanzia molto complicata, molto difficile, molto dolorosa. La più grande fobia di mia madre era che sarei cresciuta. Trascorreva il suo tempo a prendermi le misure. Mi faceva indossare vestiti di una bambina di 4 anni perché rifiutava che io crescessi. Lei non mi permetteva di uscire perché aveva sentito che l’aria fresca faceva crescere i bambini e per questo mi teneva chiusa in casa. È stato molto traumatico.” Isabelle Caro
Isabelle è morta nel 2010 a soli 28 anni. Ma la sua battaglia non va dimenticata e può essere un monito per genitori e famiglie che non danno troppo peso ai disagi dei giovani. Scambiandoli per semplici problemi “adolescenziali.”
Molti paesi europei, negli ultimi anni, stanno cercando di porre un freno a questa piaga sociale.
Nel Regno Unito, nel 2016, è stato vietato lo spot della collezione Cruise di Gucci. Il motivo? La modella Avery Blanchard, all’epoca sedicenne, appariva magra in modo non sano. Secondo l’Advertising Standards Authority il rischio era di fare passare un messaggio sbagliato, irresponsabile.
Contro i disturbi alimentari in Francia è entrata in vigore una legge che vieta alle modelle troppo magre di sfilare
Potranno farlo solo con un certificato medico che attesta il loro stato di salute. E sono previste multe anche per le agenzie di moda, complici di indurle a raggiungere obiettivi impossibili.
In Italia, dal 2012, è stata istituita la Giornata Nazionale contro i Disturbi del Comportamento Alimentare.
Anche conosciuta come Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, si tiene il 15 marzo per sensibilizzare il Paese nei riguardi di una malattia troppo spesso sottovalutata.
L’idea è partita da Stefano Tavullia, fondatore dell’associazione Mi Nutro di Vita. Un padre che, a causa della bulimia, ha perso la figlia di soli diciassette anni:
“Non può, non deve capitare ad altri. La morte di mia figlia deve servire a tutte le persone e le famiglie che vivono un dramma di questo genere. Il dramma di vedere chi ami che piano piano si spegne, non ride più, non mangia o vomita. Non accetta di farsi curare e a te resta la sensazione di non avere fatto abbastanza.”
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