Opere pittoriche, scultoree, arti decorative, fotografia e nuovi media – dalla metà dell’Ottocento ad oggi – per mettere in luce il pensiero creativo sul paesaggio
I sentimenti e le riflessioni che – di decennio in decennio – il paesaggio ha ispirato negli autori e nei fotografi sono al centro della interessante mostra “Arcadia e Apocalisse. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni” in corso fino al 26 aprile presso PALP Palazzo Pretorio Pontedera.
Promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera, dal Comune di Pontedera, dalla Fondazione Pisa, con il patrocinio e il contributo della Regione Toscana, la mostra ha l’obiettivo di indagare il modo in cui il paesaggio è stato percepito e rappresentato artisticamente dal 1850 fino ai giorni nostri.
In particolare si mettono in luce quelli che sono stati i cambiamenti in materia di estetica e di codici rappresentativi, cercando al contempo di sensibilizzare la coscienza dei visitatori sul tema del degrado ambientale.
E’ un lungo percorso che si avvale di opere pittoriche, scultoree, arti decorative, fotografia e nuovi media – dalla metà dell’Ottocento ad oggi – per mettere in luce il pensiero creativo sul paesaggio, un genere pittorico ereditato dal Settecento come rispecchiamento della natura nell’arte, in antitesi alla pittura mitologica e di storia.
La mostra si articola in vari capitoli, dalla diversa estensione, composti da pittura, fotografia, video, film e installazioni, immagini coinvolgenti, documenti in cui si travasa l’intera cultura di un’epoca.
La pittura di paesaggio è infatti il frutto di un processo molto complesso di interpretazione e ‘ricostruzione’ della natura, che coinvolge il momento storico di riferimento con il suo sistema di relazioni, la cultura artistica cui l’autore appartiene e la storia individuale.
Si passa dalla scoperta, in epoca ottocentesca, di un “paesaggio italiano” ereditato dal “Grand Tour” offerto alla modernità come cornice d’inalterata bellezza, alla testimonianza delle azioni talvolta violente che la storia ha inflitto al territorio italiano (dalle demolizioni alle devastazioni delle guerre), agli sconvolgimenti legati all’epoca della ricostruzione postbellica, al definitivo tramonto del mito post-romantico e alla sua sostituzione con azioni di trasformazione così invasive e devastanti da far presagire una imminente Apocalisse.
Nella pittura italiana del secondo Ottocento si afferma un sentimento della natura ereditato dal Romanticismo che porta a una interpretazione che si fonda su un più autentico rapporto con il vero: anche paesaggio come teatro della contemporanea storia risorgimentale, come libera ricreazione luminosa del paesaggio toscano ereditato dai padri, come ambientazione della vita all’aperto della emergente società borghese in opere di maestri come Giovanni Boldini e della fotografia come Giacomo Caneva e Robert Macpherson. In area laziale, il paesaggio della Campagna romana, fra i riferimenti del Grand Tour, ancora documentato nei grandi album dei fotografi, si afferma nella sua classica magnificenza e desolazione come testimonianza, l’unica intatta, dell’antica grandezza in contrasto con la modestia del presente.
Verso la fine del secolo, e a cavallo del nuovo, è prevalentemente sul paesaggio che si riversano le predilezioni dei pittori divisionisti innamorati della scomposizione della luce (Angelo Morbelli, Vittore Grubicy de Dragon), che rivaleggiano con i fotografi nella ricerca di sfolgoranti effetti luminosi, nella apparente emulazione dei fenomeni naturali, ma con esiti di sofisticata astrazione.
Respinto ai margini del rutilante mondo iconografico del primo Futurismo macchinista, il paesaggio trova comunque i suoi cultori fra quegli artisti innamorati dell’analisi del fenomeni naturali o più suggestionati dalle atmosfere simboliste in opere di Giacomo Balla, Leonardo Dudreville, Fortunato Depero.
I due decenni fra le due guerre vedono, con il consolidarsi del fascismo, l’avvio di una politica di lavori pubblici di grande impatto territoriale, destinata a imporre profonde modificazioni nel paesaggio italiano, accompagnate dall’enorme risonanza propagandistica creata dai moderni mezzi di comunicazione.
La pittura del Novecento è letteralmente dominata dal paesaggio, soggetto ambiguo nel quale si rispecchiano gli orientamenti espressivi e anche contraddittori di una intera generazione espressi da Antonio Donghi, Ottone Rosai e Giorgio Morandi; dall’impossibile recupero di una perduta Arcadia senza tempo all’aspra denuncia di problemi sociali lasciati irrisolti.
Il decennio che si chiude con lo scoppio della guerra, si apre con un presagio di distruzione contrabbandato come pretesa di rivoluzione (le demolizioni nei grandi piani urbanistici) cui gli artisti, come Afro Basaldella, rispondono con sgomento e angoscia.
Gli anni Sessanta sono dominati, come in tutta Europa, dalle ricerche postinformali e astratte. Il paesaggio è per lo più un riferimento interiorizzato e rimanda ad una esperienza di carattere profondamente individuale, in Tancredi, Giulio Turcato, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice.
Tuttavia è sul versante della pop art e delle nascenti ricerche concettuali, Mario Schifano, Gino Marotta, Mario Cresci, che il paesaggio riprende piena legittimità in artisti che affrontano il tema attraverso il confronto fra pittura, nuovi media espressivi e nuovi materiali industriali.
Ai nostri giorni il racconto é aperto, con linguaggi del video e delle installazioni tridimensionali, all’interno delle quali il paesaggio è quasi univocamente assunto come elemento di preoccupazione e riflessione per gli esiti delle attività umane.
“Arcadia e Apocalisse. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni”
PALP Palazzo Pretorio Pontedera, (PI)
Fino al 26 aprile 2020
Biglietto: € 8
Franca Dell’Arciprete Scotti